lunedì 13 dicembre 2010

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sabato 11 dicembre 2010

Odisseas Elitis-Carte scoperte (traduzione)

PER INIZIARE...
I

vorrei, presentando questo testo, confessare subito: non sono un critico, nè un narratore. L'analisi psicologica non mi affascina per niente, la capacità d'osservazione mi manca in sommo grado e ogni tentativo di descrizione mi fa annoiare mortalmente. Un tema, per esaurirlo, non ho altro modo che cercarlo scrivendo. Ciò significa immergersi dentro le cose molto, prima di chiarire cosa voglio dire e cosa voglio lasciar perdere, qui e lì, secondo le preferenze verso gli angoli più oscuri, cercando di vedere, grosso modo, cercare ed identificare.
Come posso. Perchè, sfortunatamente, molte volte le correnti mi trascinano, mi distraggo davanti a qualcosa che mi piace e, appena il correre della penna col suo fascino sveglia dentro di me altri istinti, mi ritrovo, l'attimo in cui esco da questo difficoltoso nuotare, molto lungo a volte, senza avere nemmeno toccato ciò che desideravo.
Per essere più precisi, ora solo so ciò che bisognava dire. Ma è troppo tardi: non ci si bagna due volte nella stessa corrente del fiume, per ricordare anche da parte mia il grande Efesino.
Certamente, ci sono poeti dotati di un prodigioso talento critico. Ci sono invece altri che non escono mai dai confini dove li ha messi la Poesia. Il mio peccato- e la mia ostinazione- è che, senza far parte dei primi mi sono rifiutato di far parte dei secondi, credendo che queste cose che, di regola, sono vietate a un legittimo saggista poichè costituiscono prove di cattivo stile, per un poeta che vuole invece, in qualsiasi luogo anche se si è trasferito, rimanere lì dove davvero è, possano, non solo essere perdonate, ma forse forse addirittura essere ascritte al suo bilancio attivo.
Un'altra cosa: dirò che è dovere della poesia, persino in questo spazio, muovere (?) dagli organi con esattezza che collocano il pensiero, collocare movimenti dell'anima improvvisi e non preventivati, destare fantasie, intervenendo sulla sintassi con primi assaggi di....., col proprio stile, la propria lingua, acquisire qualcosa dagli scritti dei giovani organismi, l'impeto dell'uccello verso le altezze.
Naturalmente, una cosa del genere non è senza pericoli. Il mio ideale sarebbe dovuto essere da sempre la trasparenza, e, in Poesia, mi sarebbe dovuta arrivare la purezza dei flussi dell'anima (?) che avrei racchiuso in una descrizione, per credere alla fortuna (?). Ma la trasparenza dei segni era qualcosa di diverso e finchè non trovai qualche modo per far fronte a questa, avrei conosciuto vagabondaggi e sarei arrivato ad eccessi che avrebbero lasciato profondamente le loro impronte nei miei primi testi. Mentre li rileggo, oggi, insieme al fascino che è naturale provare rivivendo un'"epoca eroica" provo, in quello stesso istante, anche un'intensa ripulsa. Entusiasmi ingiustificati (una volta potevo dire anche "antipatici"), frasi fantasiose ma non sempre fortunate, di una lunghezza esagerata,liriche subordinate senza copertura (sic), acrobazie linguistiche e fraseggi pirotecnici, in generale un'abbondanza eccessiva di parole che, insieme alle altre cose, , non mi lasciava mai parlare in modo immediato a quelli per cui componevo, cioè con gli stimoli e le ragioni della mia vita.
Non importa: non rinnego quegli scritti, nè provo, almeno alla base della struttura, a correggerli.
Rappresentano ai miei occhi l'epoca in cui, per un giovane, lo scrivere non poteva ancora essere un consapevole, intransigente e continuo esercizio all'errore.

(O.Eliti, Anoixta xartia, Asteria, Pp.14-15. Da rivedere)