venerdì 12 marzo 2010

KITARO

Migliorano i miei organi al sentire questa meravigliosa musica, musica di ritmi tribali, di foreste pluviali sconosciute. Conosco poche persone disposte a gettarsi nell’impresa che mi accingo a narrare, ma tuttavia la narrerò, conscio che questa mia esperienza mistica possa essere utile a qualcuno. Sotto le suggestioni di questa musica, allora, ecco la storia di un grande miglioramento del colon umano.

Era un ventoso Dicembre del 1997, e Kitaro se ne andava per la Dostoevskaja prospekt, del tutto ignaro di quanto stesse per accadergli da lì a poco: scrutava a destra e sinistra cercando qualche occasionale pinguino volante che ogni tanto sbucava dalle famose buche che funestavano il fondo del ponte che sormontava il fiume Aleksej, ma non c’era ancora niente in vista, perlomeno in quel giorno. E dire che di solito quelle strambe e maledette creature svolazzavano come dannate tutt’intorno negli altri giorni!
Un pò deluso dalla caccia infruttuosa, si avviò verso casa già pensando alla possibile scusa da inventare alla mamma per giustificarle la mancata raccolta di selvaggina del giorno, quando a un tratto s’accorse di essere seguito da un piccolo gnomo che lo guardava incuriosito.
Kitaro, accortosene, si girò di scatto e gli urlò “ehi tu!”, ma lo gnomo non ebbe nemmeno il tempo di sentire quello che gli veniva gridato che già aveva spiccato un balzo in avanti, come se fosse stato un vero e proprio razzo.
Kitaro, allora, incuriosito da quello strano essere che lo aveva fin lì seguito, decise di incamminarsi nella direzione presa dallo gnomo, che intanto aveva lasciato dietro sè una lunga scia di fumo che indicava la direzione da lui presa. Dopo molto cammino e molte curve, Kitaro si trovò fuori città, al limite del bosco: lo gnomo infatti pareva proprio essersi avviato verso il vicino boschetto di Cernejavy che costeggiava la zona immediatamente antistante la città.
Addentratisi nel boschetto, Kitaro e lo gnomo continuarono a camminare, finchè non si trovarono di fronte un vero e proprio paesino in miniatura all’interno del bosco: c’erano casette sui piccoli alberi, casette all’interno dei tronchi, personcine indaffarate che correvano di qua e di là sbrigando i loro affarucci, piccoli cani che abbaiavano ai padroni e rincorrevano i gatti: tutta una piccola vita fremente che si agitava in quel boschetto.
Kitaro era stupito e allo stesso tempo affascinato da quel che vedeva, e non riusciva a raccapezzarsi su dove in realtà si trovasse e chi fossero quegli strani piccoli esseri che si trovava di fronte; ancora stupito da tutto ciò, dunque, si accorse all’improvviso che il “suo” gnomo gli stava passando di nuovo davanti, freneticamente sempre. “Eh no”, pensò Kitaro, “non me lo farò sfuggire di nuovo!” e si slanciò al suo inseguimento, deciso a non perderlo di vista. Dopo cinque minuti buoni di corsa attraverso il bosco, Kitaro vide lo gnomo entrare all’ interno di una cavità nel tronco di una grande e robusta quercia che troneggiava imperiosa: deciso a seguirlo anche in questo nuovo ed inaspettato tragitto, Kitaro si avventurò all’interno del buio tronco, sicuro che prima o poi avrebbe scoperto, grazie allo gnomo, un segreto meraviglioso.
Nel cunicolo all’interno c’era buio pesto e Kitaro doveva andare avanti alla cieca e un pò a tentoni, tastando le pareti di terreno che aveva intorno. Arrivato ad un punto in cui il terreno si faceva più pianeggiante, Kitaro intravide un lumicino davanti a sè, che pareva posto su di un oggetto ellittico, bombato: avvicinandosi di più, Kitaro vide che si trattava di un buffo elfo verde seduto all’indiana sopra una vecchia botte marrone.
Quando l’elfo vide Kitaro la sua prima espressione fu di stupore, ma durò solo un attimo: sapeva di aver trovato il “prescelto”, cioè sapeva che quello davanti a lui era colui che stava aspettando e subito rasserenò il volto in un serafico sorriso.
“Ciao, chi sei?” chiese Kitaro un pò intimidito, mentre pensava: “che strano posto davvero per fare una nuova conoscenza!”.
“Sono l’elfo Balaabam, e sono qui per condurti alle “cascate magiche”, dove ti aspettano tutti: ma tu, perchè ci hai messo così tanto ad arrivare??” disse l’elfo e senza attendere risposta prese per mano Kitaro e cominciò a guidarlo attraverso il cunicolo, facendo luce col suo lumicino (era infatti lui a tenerlo in mano seduto sopra la botte, prima).
Kitaro, sorpreso e un pò impaurito, si lasciava guidare, pensando che quella che stava vivendo fosse davvero un’avventura eccezionale, una di quelle che si raccontano poi agli amici in giardino, magari di notte per far loro paura ed impressionarli. In quel momento non gli sovveniva certo la probabile ansia che stava provocando alla tenera madre che lo stava aspettando a casa e che non lo vedeva ancora ritornare: i bambini sanno a volte essere molto egoisti!
Allo sbucare che fecero Kitaro e Balaabam dal tunnel, un’ estatica visione si offrì al ragazzo: cascate effervescenti, diffondenti intorno un’aura dorata, si vedevano splendere davanti a loro, offrendo un’immagine davvero perfetta delle possibili armonie che Madre Natura sapeva creare a volte nel mondo. Come so che le cascate erano effervescenti, mi chiederanno i miei piccoli lettori? Beh, si dà il caso che proprio davanti a Kitaro una delle cascate finisse il suo corso, formando un laghetto blu dove Kitaro, avvicinandosi, poteva vedere i pesciolini rossi nuotare tra le varie bolle che salivano dal basso e che esplodevano silenziosamente appena giunte a pelo d’acqua.
“Ehi tu” gli gridò Balabaam “ma devi sempre farmi perdere tempo? Andiamo che il Re delle Cascate ci aspetta!” e dicendo questo lo prese per mano e lo condusse con sè, attraverso i prati odorosi di margheritine. Kitaro era ancora stupito della meraviglia che aveva appena visto e non riusciva affatto a spiegarsi come fosse possibile una cosa del genere, cioè che una cascata fosse fatta d’acqua effervescente: tuttavia seguì forzatamente la sua guida di quel giorno.
Dopo un pò di cammino i due eroi arrivarono in un magnifico palazzo dorato che si ergeva maestoso in mezzo ad una radura, circondato da alberi di ogni tipo e misura: a Kitaro quel luogo diede subito la sensazione che fossero state portate lì appositamente da ogni zona della Terra tutte le specie di piante ed di alberi più rari e misteriosi per riunirli in unico, magnifico posto.
Il cancello davanti a loro, anch’esso d’oro, era abbastanza ondulato, ma sopra in alto non c’era nessun tipo di punta acuminata atta a scoraggiare eventuali intrusi o ladri di sorta: ciò stupì molto Kitaro, la cui vita in una grande città gli aveva insegnato a non fidarsi mai del tutto del prossimo, pur essendo ancora un bambino. Balabaam, intanto, almanaccava e pasticciava con il citofono della residenza: non riusciva infatti a ricordare la parola d’ordine per entrare e cercava di convincere la guardia all’altro capo del citofono a lasciarlo passare ugualmente; ma, evidentemente, invano.
Ad un tratto si ricordò che era lì con lui Kitaro, e questo poteva essergli di aiuto: infatti, alla nascita di Kitaro, le guardie del re avevano provveduto a registrare su nastro la sua voce da neonato (poichè lui era il Prescelto ed andava tenuto sempre sotto controllo) così da poterlo rintracciare in qualsiasi posto e in qualsiasi tempo grazie ai loro radar ipersonici ( che, tra le altre funzioni, avevano quella di sviluppare un’attendibile riproduzione della voce di Kitaro nelle varie età della sua vita).
Così Balabaam non dovette fare altro che prendere Kitaro per un braccio e dirgli: “Ragazzino, fammi un favore, dì qualcosa dentro questo citofono.”
“E perchè dovrei farlo?” ribattè Kitaro.
“Perchè se non lo fai ti rompo il grugno!” urlò Balabaam, che, detto tra noi, era un patito dei romanzi e telefilm polizieschi.
“Okay, okay, non ti scaldare tanto, lo faccio!” accondiscese Kitaro, che cominciava a temere per la propria incolumità.
“Salve...Come va?” azzardò allora il giovane dentro il citofono: in quel mentre, dall’altro capo, subito si attivarono i famosi radar supersonici che iniziarono a decodificare la voce di Kitaro. Milioni di bit al secondo passarono allora attraverso i circuiti e dopo un pò si accese sul pannello principale una lucina verde che fece: “Bing!” dando in questo modo l’ok al custode per dare via libera a Kitaro ed alla sua guida elfica.
“Ufff, ce l’abbiamo fatta, per fortuna, temevo non ci facessero entrare” esclamò Balabaam facendo il gesto di tergersi il sudore dalla fronte (anche se non ne aveva affatto) mentre guardava i cancelli della reggia aprirsi in due lentamente con un lieve “zzzz” per far passare i due ospiti.
Al portone principale c’era una grossa e robusta guardia vestita di blu notte, con tanti lustrini sulle spalline ramate che splendevano: la guardia era un grosso cagnone che aveva tutto grosso, tranne la testa, che era piccolissima, bianca con gli occhi neri.
Kitaro e Balabaam salutarono la guardia con un caloroso “salve!”, ma questi non rispose nulla, evidentemente istruito dai superiori del re a parlar poco e vigilare molto (tranne in quel caso, chè aveva l’ordine di lasciar passare i due individui).
Entrati finalmente nella reggia, Kitaro e Balabaam videro dapprima una lunga scala che correva tutt’intorno la parete appena di fronte a loro, e poi, iniziando a guardarsi intorno, notarono che gli altri spazi dell’entrata non erano granchè adorni, ma piuttosto coperti con pareti rosse e oro che lasciavano allo spettatore l’ impressione di un grande vuoto.
Kitaro e Balabaam si guardavano intorno incuriositi, alla ricerca di qualcuno o qualcosa che desse loro un’indicazione su dove dirigersi per arrivare alle stanze del re, ma evidentemente non c’era nessuno in quell’ampio salone d’ingresso. Stavano già per imboccare le lunghe scale parietali per provare a casaccio una direzione qualunque, quando dalla porta di destra un botolo arruffato tutto grigio si rotolò velocemente davanti ai loro piedi, lasciandoli stupefatti. I due, infatti, non si spiegavano cosa fosse quella buffa cosa rotolata così all’improvviso davanti a loro: aspettarono allora che fermasse il suo velocissimo vorticare su sè stessa e le si avvicinarono, guardandola incuriositi.
“Che specie di diavolo è mai questo?” sbottò Balabaam; e provò ad azzardare qualcosa: “secondo me è un gatto avvoltolato su sè stesso...”.
Kitaro però non lo stava a sentire, totalmente preso da quella strana creatura, che non riusciva assolutamente ad identificare; mentre stava ancora guardandola, essa d’improvviso cacciò la testa fuori da quella specie di struttura a riccio che aveva formato: era proprio un gatto, Balabaam aveva ragione, era un bel gattone dal pelo grigio, il muso e le orecchie bianche, gli occhi neri lucenti.
“Ehi voi, che state facendo lì impalati??? Aiutatemi, piuttosto, non vedete che sono impacciato, così come sono?” sbraitò allora il gattone rivolgendosi ai nostri eroi, i quali, un pò timorosi, gli si avvicinarono piano piano cercando di sbrogliare quella strana matassa (era proprio il caso di dirlo!).
Con dedizione ed attenzione, dopo un quarto d’ora Kitaro e Balabaam riuscirono finalmente nell’impresa: il gattone, riconoscente, si complimentò con loro, prorompendo in un liberatorio: “Aaaaah, ci voleva proprio, grazie!”. Si pose allora sulle quattro zampe ritto in piedi, e provò a sgranchirsele un po’, stiracchiandole ed allungandole qua e là per la stanza; poi continuò: “ragazzi, non sapete da quanto tempo era che stavo legato e raggomitolato in quel modo! Questi servi del re pretendono davvero troppo da noi poveri gatti-girandola! Siamo esseri limitati anche noi, dopotutto!” si sfogò il gattone.
“Gatti-girandola? Cosa vuoi dire?” chiese allora Kitaro, sempre più stupito.
“Quello che ho detto! Pensa che noi poveri gatti-girandola dobbiamo ogni giorno percorrere in questo modo tutto il palazzo del re, e solo per far divertire gli ospiti che di volta in volta vengono a trovarlo! Ma dico io, non avrebbe potuto allestire dei giochi d’acqua o uno splendido cortile di statue, come fanno tutti i sovrani normali?? No, lui aveva bisogno di noi gatti-girandola, senza capire che fare girandole è la nostra passione, sì, ma non quando diventa un lavoro massacrante!” rispose il gatto-girandola “A proposito io mi chiamo Fizz, voi?” aggiunse poi.
“Io sono Kitaro e lui e la mia guida Balabaam” rispose Kitaro e aggiunse: “Ma non capisco, Fizz, voi gatti-girandola fate questo spesso, anche se non siete obbligati?”.
“Si capisce! Fare girandole è la nostra passione, come ho detto, ma farle liberamente nella nostra foresta Gattonia all’ombra dei faggi e con la frescura dei nostri ruscelli è una cosa, e farle come lavoro contrattuale otto ore al giorno in un, tra l’altro, molto polveroso e vastissimo palazzone ne è completamente un’altra!
“Non farmene parlare, vah, chè è meglio per tutti, potrebbero esserci in giro le chiacchierone spie leprotte del re: e quelle hanno le orecchie lunghissime e sensibilissime!!!” disse Fizz.
“Va bene: ma il tuo ruolo qui è solo questo?” disse allora Balabaam.
“Certo, oltre a condurre gli ospiti che finiscono sotto di me nella corsa nelle stanze del re, eheh!” aggiunse Fizz, come se fosse un dettaglio di nessunissima importanza. E poi: “Venite, con me, dunque!” aggiunse chiamandoli col dito di una zampa.
Kitaro e Balabaam allora lo seguirono, decisi ormai a non stupirsi più di niente di quel che sarebbe loro capitato da lì in poi in quella strana avventura: tanto ormai avevano capito che in quel reame era abitato solo da creature oltremodo bizzarre!
Seguirono dunque il gatto Fizz su per lo scalone parietale (avevano visto giusto inizialmente) e cominciarono a salire. Quelle scale sembravano interminabili e la cosa assurda era che a volte sembravano camminare diritte, a volte a chiocciola, a volte addirittura in discesa! Ma il gatto Fizz sembrava una guida sicura, e camminava con gli occhi socchiusi, senza guardare a destra o a sinistra, col fare di chi quelle strade le aveva fatte ormai migliaia di volte e le conosceva a menadito.
Arrivati dunque alla stanza del re, un’altra sorpresa attendeva i nostri eroi: la stanza di sua maestà era una stanza poverissima e spoglia, e presentava solamente un divanetto viola tutto consunto sulla destra appena all’entrata, una rozza scrivania di mogano antico di fronte, ed un semplice tappeto a righe verticali che una volta erano colorate, ma che ora il tempo e l’usura avevano completamente scolorato.
Il re era completamente intento alla scrivania, scrivendo alcune urgentissime note da mandare ad alcuni organi amministrativi del reame di Cascate effervescenti: infatti erano note talmente importanti da dover essere scritte addirittura dal re in persona. Sua maestà era talmente indaffarata che non si accorse dell’entrata dei due ospiti (il gatto Fizz si era immediatamente dileguato appena introdotti Kitaro e Balabaam).
“Ehm, ehm” fece allora Balabaam con sussiego, tanto per introdurre la loro presenza al re, il quale infatti alzò finalmente gli occhi dal foglio su cui stava scrivendo (lo chiamavano a volte “il re cartolaio”, per la gran quantità di documenti che era costretto a redigere ogni giorno per far andare avanti il regno), e si accorse degli ospiti.
“Ah, ma bene, benvenuti!” proruppe sua maestà con un grande sorriso gioviale, che non avreste detto possibile sulla faccia di un capo di stato sempre iperimpegnato.
“Vi aspettavo con trepidazione” continuò poi “ in particolare te, Kitaro: qui tutti non fanno altro che chiedermi quando sarebbe arrivato il prescelto: finalmente eccolo qua, dunque!”, concluse, rivolgendosi al giovane.
Kitaro ovviamente non sapeva cosa rispondergli, essendo ancora all’oscuro di tutto quello che riguardasse la sua missione in quelle zone del Paese; disse solo: “Veramente, sire, io non ho ancora capito quello che dovrei fare in questo reame...”
“Benedetto ragazzo, ti spiegherò io allora” fece allora il re con gentilezza. “Devi sapere che da qualche tempo in questo reame si manifestano degli attacchi furibondi di alcuni enormi lupi che provengono dalle foreste vicine, i Kazaam: ebbene, questi figli di buona donna, dopo aver sbranato e dilaniato ogni cosa che càpiti sotto di loro, salgono sulle scale della mia residenza, e per aggiungere la beffa al danno, mi fanno dei potentissimi pernacchi che mi fanno rimpiangere d’essere nato! Per questo, ragazzo, devi assolutamente aiutarci per uscire da questa angosciante situazione: non possiamo continuare a subire queste devastazioni; e soprattutto io non posso più sopportare assolutamente quegli sberleffi così oltraggiosi!” concluse il re precipitosamente e col viso stravolto (evidentemente aveva ancora in mente l’ultima serie di pernacchi subìta).
“Ma...cosa dovrei fare esattamente?” interloquì Kitaro.
“E’ presto detto” rispose il re “dovrai andare sotto le cascate effervescenti, cioè, non proprio sotto, diciamo, dietro, e dietro l’acqua di una delle cascate troverai un cunicolo scavato nella roccia che ti porterà, dopo un certo tragitto, al luogo dove è custodita la cassa magica: dentro questa cassa troverai un altrettanto magico piffero che ci consentirà, mediante il suo orrendo suono, di allontanare i lupi Kazaam ogni qualvolta essi tentino di avvicinarsi al nostro reame” concluse il re.
“Va bene, ma perchè proprio io devo farlo, sire?” chiese Kitaro.
“Perchè, perchè, giovanotto adesso mi hai scocciato con tutti questi perchè! Vuoi accettare o no? Ti interessa alleviare dalle pene un povero paese che è funestato da una sciagura della portata che ti ho detto, oppure vuoi fare l’egoistaccio e farti i fatti tuoi?” rispose il re un pò misteriosamente (almeno per Kitaro).
“Va bene, va bene, accetto l’incarico, lo farò, se contate proprio su di me” acconsentì alla fine il ragazzo.
“Benissimo, hai fatto la scelta giusta, te l’assicuro, giovanotto!” si complimentò allora il re stringedogli la mano.
“Beh, ragazzo, allora il mio compito qui è finito” disse allora l’elfo Balabaam a Kitaro “ti auguro un grande successo e ti faccio un in bocca al lu...Ops! Come non detto, scusa, ahahha! Beh, ciao ragazzo” e lo salutò con un robusto abbraccio all’americana, proprio come nei film polizieschi di cui era patito.
Scendendo le scale, il gatto Fizz lo incontrò di nuovo per caso, e racconterà poi ai suoi amici di avergli visto una lacrimuccia all’ angolo dell’occhio destro, ma non ne era tanto sicuro.
Comunque, fatto stava ormai che Kitaro doveva cavarsela da solo e quindi prese su di sè l’incarico e fece per congedarsi. Ma il re lo bloccò: “Dove vai, stupidotto? Ti accingi all’impresa a mani vuote? Dovrai pur avere un’arma per affrontare i pericoli che troverai nel tragitto verso la cassa, no? Tieni” e prese da sotto il divano una vecchia spada arrugginita che teneva lì per le emergenze “prendi questa e fanne buon uso, e bada che è un caro ricordo della mia famiglia, essendomi stata tramandata da generazioni e generazioni, da un tempo che ormai si perde nelle nebbie del passato” concluse con solennità, consegnando a Kitaro la spada.
L’arma era abbastanza pesante e il giovane, senza aspettarselo, la prese con leggerezza, col risultato di esserne trascinato verso il basso dal suo peso eccessivo.
“Mi ci vorrà un po’ per abituarmici, voglio dire a maneggiarla, visto il suo peso...” disse Kitaro, più a sè stesso che al re, in verità.
“Ma dài, scommetto che non avrai nessun problema, un baldo giovane come te poi!” e dicendogli questo gli diede una gran pacca sulla spalla; era tornato il re gioviale che li aveva accolti all’inizio del loro incontro.

mercoledì 3 marzo 2010

PROVOCA

Provoca eruzioni
Sottocutanee il solitario
nel bianco giglio della purezza
(e te lo raccomando),

non ha un manuale per dirigere i fiori,
l’ hanno creato in tal guisa.

E’ solo un povero uomo
Cercante la felicità dio sa come.