lunedì 13 dicembre 2010

Avviso

Mi sono trasferito qui

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sabato 11 dicembre 2010

Odisseas Elitis-Carte scoperte (traduzione)

PER INIZIARE...
I

vorrei, presentando questo testo, confessare subito: non sono un critico, nè un narratore. L'analisi psicologica non mi affascina per niente, la capacità d'osservazione mi manca in sommo grado e ogni tentativo di descrizione mi fa annoiare mortalmente. Un tema, per esaurirlo, non ho altro modo che cercarlo scrivendo. Ciò significa immergersi dentro le cose molto, prima di chiarire cosa voglio dire e cosa voglio lasciar perdere, qui e lì, secondo le preferenze verso gli angoli più oscuri, cercando di vedere, grosso modo, cercare ed identificare.
Come posso. Perchè, sfortunatamente, molte volte le correnti mi trascinano, mi distraggo davanti a qualcosa che mi piace e, appena il correre della penna col suo fascino sveglia dentro di me altri istinti, mi ritrovo, l'attimo in cui esco da questo difficoltoso nuotare, molto lungo a volte, senza avere nemmeno toccato ciò che desideravo.
Per essere più precisi, ora solo so ciò che bisognava dire. Ma è troppo tardi: non ci si bagna due volte nella stessa corrente del fiume, per ricordare anche da parte mia il grande Efesino.
Certamente, ci sono poeti dotati di un prodigioso talento critico. Ci sono invece altri che non escono mai dai confini dove li ha messi la Poesia. Il mio peccato- e la mia ostinazione- è che, senza far parte dei primi mi sono rifiutato di far parte dei secondi, credendo che queste cose che, di regola, sono vietate a un legittimo saggista poichè costituiscono prove di cattivo stile, per un poeta che vuole invece, in qualsiasi luogo anche se si è trasferito, rimanere lì dove davvero è, possano, non solo essere perdonate, ma forse forse addirittura essere ascritte al suo bilancio attivo.
Un'altra cosa: dirò che è dovere della poesia, persino in questo spazio, muovere (?) dagli organi con esattezza che collocano il pensiero, collocare movimenti dell'anima improvvisi e non preventivati, destare fantasie, intervenendo sulla sintassi con primi assaggi di....., col proprio stile, la propria lingua, acquisire qualcosa dagli scritti dei giovani organismi, l'impeto dell'uccello verso le altezze.
Naturalmente, una cosa del genere non è senza pericoli. Il mio ideale sarebbe dovuto essere da sempre la trasparenza, e, in Poesia, mi sarebbe dovuta arrivare la purezza dei flussi dell'anima (?) che avrei racchiuso in una descrizione, per credere alla fortuna (?). Ma la trasparenza dei segni era qualcosa di diverso e finchè non trovai qualche modo per far fronte a questa, avrei conosciuto vagabondaggi e sarei arrivato ad eccessi che avrebbero lasciato profondamente le loro impronte nei miei primi testi. Mentre li rileggo, oggi, insieme al fascino che è naturale provare rivivendo un'"epoca eroica" provo, in quello stesso istante, anche un'intensa ripulsa. Entusiasmi ingiustificati (una volta potevo dire anche "antipatici"), frasi fantasiose ma non sempre fortunate, di una lunghezza esagerata,liriche subordinate senza copertura (sic), acrobazie linguistiche e fraseggi pirotecnici, in generale un'abbondanza eccessiva di parole che, insieme alle altre cose, , non mi lasciava mai parlare in modo immediato a quelli per cui componevo, cioè con gli stimoli e le ragioni della mia vita.
Non importa: non rinnego quegli scritti, nè provo, almeno alla base della struttura, a correggerli.
Rappresentano ai miei occhi l'epoca in cui, per un giovane, lo scrivere non poteva ancora essere un consapevole, intransigente e continuo esercizio all'errore.

(O.Eliti, Anoixta xartia, Asteria, Pp.14-15. Da rivedere)

sabato 27 novembre 2010

RITORSIONE

Il servo del Nano malefico è arrabbiato.

Sostiene che, in un paese secondo-lui-civile,
bisognerebbe "menare questi studenti" che fanno casini.
Non vanno bene questo disordine, quest'anarchia,
queste azioni quantomeno disdicevoli, dice.

E allora eccoci a te, caro Emilio,
reduce fresco di Bunga Bunga e indagato per sfruttamento:
vuoi far a gara su chi ha la testa più dura?

Sarai servito quanto prima, allora: ma, ti avverto,
preparati bene, chè ti ci romperai quelle luride corna
da servo prono che ti ritrovi.

domenica 2 maggio 2010

Mulan



Albo comprato al Comicon di Napoli...Grazie a Ste per la "sopportazione" e la compagnia...Buona domenica :)

martedì 20 aprile 2010

Gaoth e il corno magico

Era un ventoso pomeriggio primaverile e Gaoth se ne andava per una via del suo villaggio del tutto ignaro di quanto stesse per accadergli di lì a poco: scrutava a destra e sinistra cercando qualche occasionale pinguino volante che ogni tanto sbucava dal fondo del fiume Teidhir, ma non c'era ancora niente in vista, perlomeno in quel giorno. E dire che di solito quelle strambe e maledette creature svolazzavano sempre tutt'intorno negli altri giorni!
Un po' deluso dalla caccia infruttuosa, si avviò verso casa già pensando alla possibile scusa da inventare alla mamma per giustificarle la mancata raccolta di selvaggina, quando a un tratto s'accorse di essere seguito da un piccolo gnomo che lo guardava incuriosito.
Gaoth, accortosene, si girò di scatto e gli urlò "ehi tu!", ma lo gnomo non ebbe nemmeno il tempo di sentire quello che gli veniva gridato che già aveva spiccato un balzo in avanti, come se fosse stato un vero e proprio razzo.
Gaoth, allora, incuriosito da quello strano essere che lo aveva fin lì seguito, decise di incamminarsi nella direzione presa dallo gnomo, che intanto aveva lasciato dietro sè una lunga scia di fumo che indicava la direzione da lui presa. Dopo molto cammino e molte curve, Gaoth si trovò fuori città, al limite del bosco: lo gnomo infatti pareva proprio essersi avviato verso il vicino boschetto di Fahir che costeggiava la zona immediatamente antistante la città.
Addentratosi nel boschetto, Gaoth continuò a seguire lo gnomo, finchè non si trovarono entrambi di fronte a un vero e proprio paesino in miniatura all'interno del bosco: c'erano casette sui piccoli alberi, casette all'interno dei tronchi, personcine indaffarate che correvano di qua e di là sbrigando i loro affari, piccoli cani che abbaiavano ai padroni e rincorrevano i gatti: tutta una piccola vita fremente che si agitava nel boschetto.
Gaoth era stupito e allo stesso tempo affascinato da quel che vedeva, e non riusciva a raccapezzarsi su dove in realtà si trovasse e chi fossero quegli strani piccoli esseri che si trovava di fronte; ancora stupito da tutto ciò, dunque, si accorse all'improvviso che il "suo" gnomo gli stava passando di nuovo davanti, freneticamente sempre. "Eh no", pensò Gaoth, "non me lo farò sfuggire di nuovo!" e si slanciò al suo inseguimento, deciso a non perderlo di vista. Dopo cinque minuti buoni di corsa attraverso il bosco, Gaoth vide lo gnomo entrare all'interno di una cavità nel tronco di una grande e robusta quercia che troneggiava imperiosa: deciso a seguirlo anche in questo nuovo ed inaspettato tragitto, Gaoth si avventurò all'interno del buio tronco, sicuro che prima o poi avrebbe scoperto, grazie allo gnomo, un segreto meraviglioso.
Nel cunicolo all'interno c'era buio pesto e Gaoth doveva andare avanti alla cieca e un po' a tentoni, tastando le pareti di terreno che aveva intorno. Arrivato ad un punto in cui il terreno si faceva più pianeggiante, Gaoth intravide un lumicino davanti a sè, che pareva posto su di un oggetto ellittico, bombato: avvicinandosi di più, Gaoth vide che si trattava di un buffo elfo verde seduto all'indiana sopra una vecchia botte marrone.
Quando l'elfo vide Gaoth la sua prima espressione fu di stupore, ma durò solo un attimo: sapeva di aver trovato il "prescelto", cioè sapeva che quello davanti a lui era colui che stava aspettando e subito rasserenò il volto in un serafico sorriso.
"Ciao, chi sei?" chiese Gaoth un po' intimidito, mentre pensava: "che strano posto davvero per fare una nuova conoscenza!".
"Sono l'elfo Balaabam, e sono qui per condurti alle "cascate magiche", dove ti aspettano tutti: ma tu, perché ci hai messo così tanto ad arrivare??" disse l'elfo e, senza attendere risposta, prese per mano Gaoth e cominciò a guidarlo attraverso il cunicolo, facendo luce col suo lumicino (era infatti lui a tenerlo in mano rischiarando il cunicolo da sopra la botte, prima).
Gaoth, sorpreso e un po' impaurito, si lasciava guidare, pensando che quella che stava vivendo fosse davvero un'avventura eccezionale: in quel momento non gli sovveniva certo la probabile ansia che stava provocando alla tenera madre che lo stava aspettando a casa e che non lo vedeva ancora ritornare: i ragazzi sanno a volte essere molto egoisti!
Allo sbucare che fecero Gaoth e Balaabam dal tunnel, un'estatica visione si offrì al ragazzo: cascate effervescenti, diffondenti intorno un'aura dorata, si vedevano splendere davanti a loro, offrendo un'immagine davvero perfetta delle possibili armonie che Madre Natura sapeva creare a volte nel mondo. Come so che le cascate erano effervescenti, mi chiederà qualcuno? Beh, si dà il caso che proprio davanti a Gaoth una delle cascate finisse il suo corso, formando un laghetto blu dove Gaoth, avvicinandosi, poteva vedere i pesciolini rossi nuotare tra le varie bolle che salivano dal basso e che esplodevano silenziosamente appena giunte a pelo d'acqua.
"Ehi tu" gli gridò Balabaam "ma devi sempre farmi perdere tempo? Andiamo, chè il Re delle Cascate ci aspetta!" e dicendo questo lo prese per mano e lo condusse con sè, attraverso i prati odorosi di margheritine. Gaoth era ancora stupito della meraviglia che aveva appena visto e non riusciva affatto a spiegarsi come fosse possibile una cosa del genere, cioè che una cascata fosse fatta d'acqua effervescente: tuttavia seguì la sua guida.
Dopo un po' di cammino i due eroi arrivarono in un magnifico palazzo dorato che si ergeva maestoso in mezzo ad una radura, circondato da alberi di ogni tipo e misura: a Gaoth quel luogo diede subito la sensazione che fossero state portate lì appositamente da ogni zona della Terra tutte le specie di piante ed di alberi più rari e misteriosi per riunirli in unico, magnifico posto.
Il cancello davanti a loro, anch'esso d'oro, era abbastanza ondulato, ma sopra in alto non c'era nessun tipo di punta acuminata atta a scoraggiare eventuali intrusi o ladri di sorta: ciò stupì molto Gaoth, la cui vita in una grande città gli aveva insegnato a non fidarsi mai del tutto del prossimo, pur essendo ancora un bambino. Balabaam, intanto, almanaccava e pasticciava con il citofono della residenza: non riusciva infatti a ricordare la parola d'ordine per entrare e cercava di convincere la guardia all'altro capo del citofono a lasciarlo passare ugualmente; ma, evidentemente, i suoi sforzi erano vani.
Ad un tratto si ricordò che era lì con lui Gaoth, e questo poteva essergli di aiuto: infatti, alla nascita di Gaoth, le guardie del re avevano provveduto a registrare su nastro la sua voce da neonato (poichè lui era il Prescelto ed andava tenuto sempre sotto controllo) così da poterlo rintracciare in qualsiasi posto e in qualsiasi tempo grazie ai loro radar ipersonici ( che, tra le altre funzioni, avevano quella di sviluppare un'attendibile riproduzione della voce di Gaoth nelle varie età della sua vita).
Così Balabaam non dovette fare altro che prendere Gaoth per un braccio e dirgli: "Ragazzino, fammi un favore, dì qualcosa dentro questo citofono."
"E perché dovrei farlo?" ribattè Gaoth.
"Perchè se non lo fai ti rompo il grugno!" urlò Balabaam, che, detto tra noi, era un patito dei romanzi e telefilm polizieschi.
"Okay, okay, non ti scaldare tanto, lo faccio!" accondiscese Gaoth, che cominciava a temere per la propria incolumità.
"Salve... Come va?" azzardò allora il giovane dentro il citofono: in quel mentre, dall'altro capo, subito si attivarono i famosi radar supersonici che iniziarono a decodificare la voce di Gaoth. Milioni di bit al secondo passarono allora attraverso i circuiti e dopo un po' si accese sul pannello principale una lucina verde che fece: "Bing!" dando in questo modo l'ok al custode per dare via libera a Gaoth ed alla sua guida elfica.
"Ufff, ce l'abbiamo fatta, per fortuna, temevo non ci facessero entrare" esclamò Balabaam facendo il gesto di tergersi il sudore dalla fronte (anche se non ne aveva affatto) mentre guardava i cancelli della reggia aprirsi in due lentamente con un lieve "zzzz" per far passare i due ospiti.
Al portone principale c'era una grossa e robusta guardia vestita di blu notte, con tanti lustrini sulle spalline ramate che splendevano: la guardia era un grosso cagnone che aveva tutto grosso, tranne la testa, che era piccolissima, bianca con gli occhi neri.
Gaoth e Balabaam salutarono la guardia con un caloroso "salve!", ma questi non rispose nulla, evidentemente istruito dai superiori del re a parlar poco e vigilare molto (tranne in quel caso, chè aveva l'ordine di lasciar passare i due individui).
Entrati finalmente nella reggia, Gaoth e Balabaam videro dapprima una lunga scala che correva tutt'intorno la parete appena di fronte a loro, e poi, iniziando a guardarsi intorno, notarono che gli altri spazi dell'entrata non erano granchè adorni, ma piuttosto coperti con pareti rosse e oro che lasciavano allo spettatore l'impressione di un grande vuoto.
Gaoth e Balabaam si guardavano intorno incuriositi, alla ricerca di qualcuno o qualcosa che desse loro un'indicazione su dove dirigersi per arrivare alle stanze del re, ma evidentemente non c'era nessuno in quell'ampio salone d'ingresso. Stavano già per imboccare le lunghe scale parietali per provare a casaccio una direzione qualunque, quando dalla porta di destra un botolo arruffato tutto grigio si rotolò velocemente davanti ai loro piedi, lasciandoli stupefatti. I due, infatti, non si spiegavano cosa fosse quella buffa cosa rotolata così all'improvviso davanti a loro: aspettarono allora che fermasse il suo velocissimo vorticare su sè stessa e le si avvicinarono, guardandola incuriositi.
"Che specie di diavolo è mai questo?" sbottò Balabaam; e provò ad azzardare qualcosa: "secondo me è un gatto avvoltolato su sè stesso...".
Gaoth però non lo stava a sentire, totalmente preso da quella strana creatura, che non riusciva assolutamente ad identificare; mentre stava ancora guardandola, essa d'improvviso cacciò la testa fuori da quella specie di struttura a riccio che aveva formato: era proprio un gatto, Balabaam aveva ragione, era un bel gattone dal pelo grigio, il muso e le orecchie bianche, gli occhi neri lucenti.
"Ehi voi, che state facendo lì impalati??? Aiutatemi, piuttosto, non vedete che sono impacciato, così come sono?" sbraitò allora il gattone rivolgendosi ai nostri eroi, i quali, un po' timorosi, gli si avvicinarono piano piano cercando di sbrogliare quella strana matassa (era proprio il caso di dirlo!).
Con dedizione ed attenzione, dopo un quarto d'ora Gaoth e Balabaam riuscirono finalmente nell'impresa: il gattone, riconoscente, si complimentò con loro, prorompendo in un liberatorio: "Aaaaah, ci voleva proprio, grazie!". Si pose allora sulle quattro zampe ritto in piedi, e provò a sgranchirsele un po', stiracchiandole ed allungandole qua e là per la stanza; poi continuò: "ragazzi, non sapete da quanto tempo era che stavo legato e raggomitolato in quel modo! Questi servi del re pretendono davvero troppo da noi poveri gatti-girandola! Siamo esseri limitati anche noi, dopotutto!" si sfogò il gattone.
"Gatti-girandola? Cosa vuoi dire?" chiese allora Gaoth, sempre più stupito.
"Quello che ho detto! Pensa che noi poveri gatti-girandola dobbiamo ogni giorno percorrere in questo modo tutto il palazzo del re, e solo per far divertire gli ospiti che di volta in volta vengono a trovarlo! Ma dico io, non avrebbe potuto allestire dei giochi d'acqua o uno splendido cortile di statue, come fanno tutti i sovrani normali?? No, lui aveva bisogno di noi gatti-girandola, senza capire che fare girandole è la nostra passione, sì, ma non quando diventa un lavoro massacrante!" rispose il gatto-girandola "A proposito io mi chiamo Fizz, voi?" aggiunse poi.
"Io sono Gaoth e lui e la mia guida Balabaam" rispose Gaoth e aggiunse: "Ma non capisco, Fizz, voi gatti-girandola fate questo spesso, anche se non siete obbligati?".
"Si capisce! Fare girandole è la nostra passione, come ho detto, ma farle liberamente nella nostra foresta Gattonia all'ombra dei faggi e con la frescura dei nostri ruscelli è una cosa, e farle come lavoro contrattuale otto ore al giorno in un, tra l'altro, molto polveroso e vastissimo palazzone ne è completamente un'altra!
"Non farmene parlare, vah, chè è meglio per tutti, potrebbero esserci in giro le chiacchierone spie leprotte del re: e quelle hanno le orecchie lunghissime e sensibilissime!!!" disse Fizz.
"Va bene: ma il tuo ruolo qui è solo questo?" disse allora Balabaam.
"Certo, oltre a condurre gli ospiti che finiscono sotto di me nella corsa nelle stanze del re, eheh!" aggiunse Fizz, come se fosse un dettaglio di nessunissima importanza. E poi: "Venite, con me, dunque!" aggiunse chiamandoli col dito di una zampa.
Gaoth e Balabaam allora lo seguirono, decisi ormai a non stupirsi più di niente di quel che sarebbe loro capitato da lì in poi in quella strana avventura: tanto ormai avevano capito che in quel reame era abitato solo da creature oltremodo bizzarre!
Seguirono dunque il gatto Fizz su per lo scalone parietale (avevano visto giusto inizialmente) e cominciarono a salire. Quelle scale sembravano interminabili e la cosa assurda era che a volte sembravano camminare diritte, a volte a chiocciola, a volte addirittura in discesa! Ma il gatto Fizz sembrava una guida sicura, e camminava con gli occhi socchiusi, senza guardare a destra o a sinistra, col fare di chi quelle strade le aveva fatte ormai migliaia di volte e le conosceva a menadito.
Arrivati dunque alla stanza del re, un'altra sorpresa attendeva i nostri eroi: la stanza di sua maestà era una stanza poverissima e spoglia, e presentava solamente un divanetto viola tutto consunto sulla destra appena all'entrata, una rozza scrivania di mogano antico di fronte, ed un semplice tappeto a righe verticali che una volta erano colorate, ma che ora il tempo e l'usura avevano completamente scolorato.
Il re era completamente intento alla scrivania, scrivendo alcune urgentissime note da mandare ad alcuni organi amministrativi del reame di Cascate effervescenti: infatti erano note talmente importanti da dover essere scritte addirittura dal re in persona. Sua maestà era talmente indaffarata che non si accorse dell'entrata dei due ospiti (il gatto Fizz si era immediatamente dileguato appena introdotti Gaoth e Balabaam).
"Ehm, ehm" fece allora Balabaam con sussiego, tanto per introdurre la loro presenza al re, il quale infatti alzò finalmente gli occhi dal foglio su cui stava scrivendo (lo chiamavano a volte "il re Cartolaio", per la gran quantità di documenti che era costretto a redigere ogni giorno per far andare avanti il regno), e si accorse degli ospiti.
"Ah, ma bene, benvenuti!" proruppe sua maestà con un grande sorriso gioviale, che non avreste detto possibile sulla faccia di un capo di stato sempre iperimpegnato.
"Vi aspettavo con trepidazione" continuò poi " in particolare te, Gaoth: qui tutti non fanno altro che chiedermi quando sarebbe arrivato il prescelto: finalmente eccolo qua, dunque! Sono il re Aspir e ti do ufficialmente il benvenuto in questo reame! ", concluse, rivolgendosi al giovane.
Gaoth ovviamente non sapeva cosa rispondergli, essendo ancora all'oscuro di tutto quello che riguardasse la sua missione in quelle zone del Paese; disse solo: "Veramente, sire, io non ho ancora capito quello che dovrei fare in questo reame..."
"Benedetto ragazzo, ti spiegherò io allora" fece allora il re con gentilezza. "Devi sapere che da qualche tempo in questo reame si manifestano degli attacchi furibondi di alcuni enormi lupi che provengono dalle foreste vicine, i Kazaam: ebbene, questi figli di buona donna, dopo aver sbranato e dilaniato ogni cosa che càpiti sotto di loro, salgono sulle scale della mia residenza, e per aggiungere la beffa al danno, mi fanno dei potentissimi pernacchi che mi fanno rimpiangere d'essere nato! Per questo, ragazzo, devi assolutamente aiutarci per uscire da questa angosciante situazione: non possiamo continuare a subire queste devastazioni; e soprattutto io non posso più sopportare assolutamente quegli sberleffi così oltraggiosi!" concluse il re precipitosamente e col viso stravolto (evidentemente aveva ancora in mente l'ultima serie di pernacchi subìta).
"Ma... cosa dovrei fare esattamente?" interloquì Gaoth.
"È presto detto" rispose il re "dovrai andare sotto le cascate effervescenti, cioè, non proprio sotto, diciamo, dietro, e dietro l'acqua di una delle cascate troverai un cunicolo scavato nella roccia che ti porterà, dopo un certo tragitto, al luogo dove è custodita la cassa magica: dentro questa cassa troverai un altrettanto magico corno che ci consentirà, mediante il suo orrendo suono, di allontanare i lupi Kazaam ogni qualvolta essi tentino di avvicinarsi al nostro reame" concluse il re.
"Va bene, ma perché proprio io devo farlo, sire?" chiese Gaoth.
"Perchè, perché, giovanotto adesso mi hai scocciato con tutti questi perché! Vuoi accettare o no? Ti interessa alleviare dalle pene un povero paese che è funestato da una sciagura della portata che ti ho detto, oppure vuoi fare l'egoistaccio e farti i fatti tuoi?" rispose il re un po' misteriosamente (almeno per Gaoth).
"Va bene, va bene, accetto l'incarico, lo farò, se contate proprio su di me" acconsentì alla fine il ragazzo.
"Benissimo, hai fatto la scelta giusta, te l'assicuro, giovanotto!" si complimentò allora il re stringedogli la mano.
"Beh, ragazzo, allora il mio compito qui è finito" disse allora l'elfo Balabaam a Gaoth "ti auguro un grande successo e ti faccio un in bocca al lu... Ops! Come non detto, scusa, ahahha! Beh, ciao ragazzo" e lo salutò con un robusto abbraccio all'americana, proprio come nei film polizieschi di cui era patito.
Scendendo le scale, il gatto Fizz lo incontrò di nuovo per caso, e racconterà poi ai suoi amici di avergli visto una lacrimuccia all'angolo dell'occhio destro, ma non ne era tanto sicuro.
Comunque, fatto stava ormai che Gaoth doveva cavarsela da solo e quindi prese su di sè l'incarico e fece per congedarsi. Ma il re lo bloccò: "Dove vai, stupidotto? Ti accingi all'impresa a mani vuote? Dovrai pur avere un'arma per affrontare i pericoli che troverai nel tragitto verso la cassa, no? Tieni" e prese da sotto il divano una vecchia spada arrugginita che teneva lì per le emergenze "prendi questa e fanne buon uso, e bada che è un caro ricordo della mia famiglia, essendomi stata tramandata da generazioni e generazioni, da un tempo che ormai si perde nelle nebbie del passato" concluse con solennità, consegnando a Gaoth la spada.
L'arma era abbastanza pesante e il giovane, senza aspettarselo, la prese con leggerezza, col risultato di esserne trascinato verso il basso dal suo peso eccessivo.
"Mi ci vorrà un po' per abituarmici, voglio dire a maneggiarla, visto il suo peso..." disse Gaoth, più a sè stesso che al re, in verità.
"Ma dài, scommetto che non avrai nessun problema... Un baldo giovane come te poi!" e dicendogli questo gli diede una gran pacca sulla spalla; era tornato il re gioviale che li aveva accolti all'inizio del loro incontro.
Così Gaoth si legò la cinta della spada alla vita e fece per congedarsi dal re.
"In bocca al lupo, figliolo... Ma speriamo di no! Ahahha!" rise il re, rivolto a Gaoth (erano tutti molto spiritosi in quel regno, nonostante la minaccia che pendeva loro sul capo).
"Grazie mille, farò del mio meglio!" rispose Gaoth, avviandosi verso l'uscita e facendo finta di non aver sentito il lazzo mal riuscito di sua maestà. Appena fuori, però, già gli venne il dubbio di non saper ritrovare la strada per uscire dalla reggia e si sentì prendere dal panico: ma, dopo un po', si fece forza e s'incamminò lo stesso verso quelle intricatissime scale maledette, deciso a spuntarla su di loro.
Dopo mille giri e rigiri, dopo mille strade sbagliate, dopo aver, una volta, imboccato addirittura una strada che conduceva soltanto al muro (!), alla fine riuscì a riuscire all'aria aperta, con suo grande sollievo.
Era ancora una bella giornata ed il cielo era molto terso: gli uccellini svolazzavano e cinguettavano tra gli alberi e il rumore continuo e rilassante delle cascate si sentiva da lontano. Gaoth si avviò verso di esse, certo che la sua avventura sarebbe finita bene: infatti lo splendore della giornata aveva ravvivato le sue speranze e rafforzato il suo ardire. Uno strano silenzio, però, si avvertiva man mano che il nostro eroe si avvicinava alle cascate effervescenti, uno strano senso di vuoto che Gaoth non riusciva a spiegarsi.
"Mah, sarà un'impressione dovuta alla stranezza dei modi con cui mi hanno affidato la missione" pensò tra sè. Intanto le cascate erano ormai in vista, e Gaoth cominciava ad aguzzare gli occhi su dove avrebbe potuto trovare il famoso passaggio dietro di esse.
Arrivato praticamente sotto le cascate, si fermò e volse il naso in su, per un attimo rapito in estasi davanti ad esse: la forza della natura manifestantesi davanti a lui lo sbigottiva, il rumore e gli spruzzi delle cascate che sentiva e vedeva, le nubi di vapore acqueo intorno a lui, tutto concorreva a dargli un senso come di riconoscenza per tutto il Creato...
Gaoth si riscosse con un brivido e si disse che aveva una missione da compiere. Non poteva continuare a starsene così impalato: così cominciò a cercare qualche pertugio dietro la prima cascata, ma inizialmente non trovò niente.
Gaoth però era molto facilitato dalla sua ispezione poichè dietro tutte le cascate c'era una specie di sentiero, molto stretto sì, ma percorribile, che divideva la superficie d'acqua dalla montagna da cui scendeva la cascata: cosicchè il giovane poteva con agio controllare tutte le pareti antistanti stando su quel sentiero.
Cammina cammina, Gaoth finalmente trovò un anfratto nella parete dietro una cascata e si accinse a tentare la scalata. La parete era abbastanza scoscesa e il ragazzo non aveva nessun attrezzo che gli consentisse di arrivare fin là, eccetto la sua spada, ovviamente. Così si guardò intorno in cerca di un masso o qualcos'altro che avesse potuto mettere sotto l'anfratto a ridosso della parete per usarlo come "scalino". L'anfratto non era molto in alto, cosicchè quello che serviva a Gaoth non era un masso di grandi dimensioni: si girò intorno allora in cerca di esso e dopo un po' vide che proprio lì affianco dalla montagna era franato un masso che sembrava proprio fare al caso suo.
Si rimboccò le maniche e cominciò a spingerlo: ma il masso non voleva saperne di muoversi, tanto era come ancorato al terreno. Evidentemente, quando era caduto, aveva formato come un avvallamento nel terreno morbido, avvallamento da cui non voleva più venir fuori, nè con le buone nè con le cattive.
Quello che serviva adesso a Gaoth era una leva per far uscire il masso dal suo avvallamento, ed anche questa dopo un po' trovò, o meglio fu lei a trovare lui, dato che, camminando, il giovane aveva per sbaglio calpestato un grosso ramo di quercia scaraventato lì dalla corrente chissà quando.
Allora con questa specie di leva improvvisata Gaoth riuscì a far uscire il masso e cominciò a spingerlo verso la direzione desiderata. Non era certo un masso leggero, e il ragazzo fece una fatica tremenda, ma alla fine riuscì nel suo intento.
Felice, ma stremato, si appoggiò al masso sulla schiena, asciugandosi il sudore e pensando al da farsi: ora non rimaneva infatti che tentare la scalata al masso e di conseguenza, al sospirato anfratto misterioso.
Il masso era molto alto, e Gaoth non sapeva come fare per raggiungere la cima, tanto più che il masso in questione era abbastanza rotondo di forma e Gaoth scivolava ogni volta che cercava di iniziare la scalata. Allora il giovane si risolse a cercare un altro masso più piccolo che gli facesse da ulteriore scalino: dopo alcune ricerche, lo trovò lì vicino e lo collocò ai piedi del masso grande. Ora tutto era pronto per iniziare la scalata e Gaoth si appigliò al masso cercando di fare più presa possibile, riuscendo alla fine a pervenire in cima. Una volta lì mise i piedi alle estremità del masso divaricando le gambe ed alzando in orizzontale le braccia per conservare il più possibile l'equilibrio precario: poi con un balzo, d'un soffio si trovò dall'altra parte, all'inizio del cunicolo.
Nel cunicolo era buio pesto e Gaoth non aveva assolutamente nulla per far luce, cosicchè si avviò tastando le pareti, come aveva fatto qualche ora prima all'interno dell'albero che conduceva al reame in cui si trovava. Dopo un po' cominciò ad intravvedere una piccola luce venire in diagonale alla sua destra e Gaoth scoprì che si trattava della luce del Sole che proveniva da un anfratto, il che era inspiegabile visto che il cunicolo era parecchi metri sotto il terreno su cui scorreva la cascata. Comunque continuò a camminare, rincuorato dalla nuova speranza di trovare la via che conduceva al corno: senonchè dovette fermarsi quasi immediatamente, sbigottito dalla paura.
Un immenso cobra rosso trasparente gli stava davanti, sibilando la lingua tra i denti aguzzi: il suo "fss fss" terribile riempiva il silenzio e l'oscurità di se stesso.
Gaoth rimase impietrito per alcuni istanti, non sapendo che fare, visto che non si aspettava di dover affrontare un simile mostro, ma la paura e lo scoramento durarono poco, e il nostro eroe prese in mano la spada che gli aveva donato il re, deciso ad uccidere il mostro al più presto. Restava da decidere la tattica, cioè se affrontarlo direttamente, frontalmente, o cercare qualche altra astuzia.
Gaoth decise per la prima soluzione e si slanciò addosso al terribile cobra con un urlo animalesco: la lotta infuriò subito tremenda, a tratti il cobra avvolgeva il ragazzo nelle sue spire e lo stritolava, a tratti Gaoth riusciva a infliggere alla bestia qualche colpo di striscio o in affondo, ma sostanzialmente sembravano essere due combattenti equivalenti. Gaoth aveva l'unico timore di essere morso dai denti del cobra che reputava sicuramente velenosi, e per questo cercava di combattere il più possibile con la testa girata e allungata da un'altra parte, lontano dalle sue fauci.
La lotta continuava, e non accingeva a diminuire di ferocia, quando a Gaoth venne l'idea di provare un brusco e azzardato movimento, per cercare di tagliare d'un colpo la testa al cobra che lo stritolava. Raccolse allora tutte le sue forze e caricando le braccia, scagliò a mani giunte il violento colpo che, fortunatamente, riuscì a divellere dal busto la testa dell'orrendo serpente.
Gaoth, stremato e senza fiato dalla lotta, si allontanò dalla bestia ormai monca, dal cui collo mozzato fuorisciva un rivoletto di sangue nero, e iniziò a riprendere fiato.
Doveva rimettersi in marcia, ora, non c'era più nient'altro da fare lì una volta ucciso il malvagio serpente, così riprese a camminare per il cunicolo.
Dopo una buona mezz'ora di cammino al buio intravide una rozza forma adagiata sul terreno: avvicinandosi di più, potè vedere che si trattava del famoso baule di cui gli aveva accennato prima il re delle Cascate Effervescenti. Si avvicinò ancora di più e trovò che il baule era coperto da uno spesso strato di polvere e di ragnatele: spazzò via allora con una mano quello schifo dal coperchio del baule e si accinse a cercare la serratura, sempre al buio.
Tasta e tasta ripetutamente, Gaoth la trovò, ma ovviamente non sapeva come fare per aprirla. L'unica cosa di cui poteva ancora una volta servirsi era la sua fida spada, con cui aveva ucciso il cobra rosso poco prima: così provò a martellare la serratura con violenti colpi di striscio della spada e alla fine essa cedette.
Con un po' di tremore nelle mani Gaoth sollevò il coperchio del baule; allora una fortissima luce azzurra lo investì, accecandolo.
Gaoth fece qualche passo all'indietro sbattendo le palpebre per abituarsi all'improvvisa e fortissima luce comparsa, ed ecco che vide comparirsi davanti a lui una specie di ectoplasma dello stesso colore della luce che lo aveva investito.
Il fantasma era vestito alla marinara e sembrava un pirata, aveva una bandana in testa ed un grosso orecchino pendente all'orecchio sinistro.
"Come osi turbare il mio sonno?" gridò il fantasma a Gaoth con ferocia. "Non sai chi sono io? Sono il pirata Sarmen, re di tutti i mari, terrore dei naviganti, rinchiuso qui a custodire il mio corno da navigazione: e ti avverto, mostriciattolo, che se farai un altro passo sarai morto".
"Ah sì? Beh, la vedremo!" rispose Gaoth, slanciandosi d'un balzo verso il corno che giaceva alle spalle del pirata (sapeva infatti che la sua spada sarebbe stata inutile contro un'ectoplasma) cercando di afferrarlo, ma il pirata Sarmen lo prese per un lembo della giubba e lo scaraventò con violenza contro la parete di fronte.
"Grrrrr, brutto sporco maiale d'un pirata!" mormorò Gaoth tergendosi col dorso della mano il sangue che cominciava a scorrergli dalla bocca. "La vedremo, chi la vincerà!" disse ancora il ragazzo, pensando al possibile stratagemma da utilizzare per sconfiggere il pirata.
Allora ecco all'improvviso un altro fantasma sopraggiungere alle sue spalle velocissimo, il fantasma di un drago, che, con i suoi artigli aguzzi si scagliò addosso al pirata scaraventandolo all'indietro; la lotta infuriò furiosa per qualche minuto, infine il benefico drago riuscì a conficcare uno dei suoi artigli nella gola del pirata, facendolo morire soffocato tra atroci dolori.
Una volta appurato che il suo nemico era stecchito, il drago si volse verso Gaoth con fare scherzoso: "Certo che era proprio un tipaccio, eh? Lo leggo dalla fifa che ti ha messo addosso, ahahah!" disse.
"Certo che no, avrei potuto benissimo cavarmela da solo, se tu non ti fossi intromesso... Comunque, grazie" disse Gaoth, un po' indispettito dai modi che gli aveva usato il drago: in realtà non sapeva davvero come diavolo avrebbe potuto cavarsela se non fosse intervenuto lui.
"Beh, potresti essere anche più gentile verso chi ti ha salvato la vita... Comunque lasciamo perdere, prendi il corno e andiamo, chè il reame è ancora in pericolo: ci sono i lupi Kazaam, non ricordi? Andiamo, prendi il corno!" rispose il drago, accennandogli con le ali il baule e incitandolo a far presto.
"D'accordo, d'accordo, non c'è bisogno di essere così perentori" disse Gaoth, al quale non garbavano molto i modi del nuovo arrivato. Tuttavia prese il corno e disse: "Potrei sapere almeno come ti chiami e chi ti ha mandato da me?" chiese il ragazzo.
"Ehehe, caro ragazzo, devi sapere che mi chiamo Alfuss e mi ha mandato da te il re in persona, dopo aver consultato il suo stregone personale: infatti avevano dimenticato di dirti del pirata e di equipaggiarti di conseguenza. Così, dopo aver visto nella sfera di cristallo dello stregone che eri nei guai, hanno mandato me, sicuri che in quattro e quattr'otto avrei sistemato il losco figuro: e come vedi missione compiuta!" rispose Alfuss.
"Grrrr, questo qui lo conosco da soli cinque minuti e già lo odio a morte" pensò tra se Gaoth, rancoroso per l'arroganza del drago fantasma. Tuttavia rispose: "Va bene, allora possiamo andare, il corno è saldamente nelle mie mani, fammi salire sulla tua groppa".
Così Alfuss fece salire Gaoth sulla sua groppa ed insieme schizzarono come fulmini fuori dal cunicolo, Gaoth portando stretto nelle mani il corno magico.
Appena fuori dal cunicolo, si accorsero che giù sulla terra, da un vicino un boschetto stavano uscendo delle grosse macchie nere e grigie: erano i terribili lupi Kazamm che assaltavano una zona del reame sotto di loro. I lupi erano appena usciti dal bosco che già si scagliavano sulle persone, donne e bambini, sugli animali, mordendo e azzannando ogni cosa, spargendo ovunque rovina e terrore.
"Presto suona quel maledetto corno, ragazzo!" urlò Alfuss a Gaoth volgendo il capo all'indietro verso di lui.
Gaoth, senza perder tempo, portò alla bocca il magico strumento e soffiò con quanta forza aveva nei polmoni, facendo uscire dal corno un suono cupo e potente. D'improvviso allora i Kazaam si bloccarono come colti da una scossa, e subito dopo scapparono in tutte le direzioni guaiendo e gemendo come tanti cagnolini fustigati.
Alfuss e Gaoth si guardarono negli occhi e capirono che ce l'avevano fatta: il reame era finalmente libero da quelle orrende bestie, e d'ora in poi la pace e la concordia avrebbero regnato in quell'angolo di mondo per tanto tempo funestato dal dolore e dalla tristezza.
Alfuss planò allora a terra con Gaoth, atterrando su un verde e soffice prato, dove lo stavano aspettando tutti i protagonisti della sua avventura: il nano misterioso che lo aveva portato nel reame, il gatto-girandola Fizz, la sua guida Balabaam, il re-cartolaio Aspir, erano tutti lì ad accoglierlo e a festeggiare la riuscita della sua impresa.
"Bravo ragazzo, ero sicurissimo che ce l'avresti fatta!" si congratulò il re Aspir dandogli una delle sue solite pacche gioviali sulle spalle.
"Off, sì sire, grazie per la fiducia..." rispose Gaoth, quasi senza fiato per la gran pacca che gli aveva dato il re, ma felice comunque per aver portato a termine la sua impresa.
"Ora tutto è in pace e possiamo festeggiare" continuò il re " Si prepari una gran tavola imbandita delle migliori pietanze e del miglior vino! Andiamo a divertirci, ragazzi!!!".
Così Gaoth ed i suoi amici fecero festa fino all'alba ed oltre, bevendo, ridendo e scherzando delle loro fantastiche avventure che si erano alla fine concluse nel migliore dei modi.

FINE

venerdì 12 marzo 2010

KITARO

Migliorano i miei organi al sentire questa meravigliosa musica, musica di ritmi tribali, di foreste pluviali sconosciute. Conosco poche persone disposte a gettarsi nell’impresa che mi accingo a narrare, ma tuttavia la narrerò, conscio che questa mia esperienza mistica possa essere utile a qualcuno. Sotto le suggestioni di questa musica, allora, ecco la storia di un grande miglioramento del colon umano.

Era un ventoso Dicembre del 1997, e Kitaro se ne andava per la Dostoevskaja prospekt, del tutto ignaro di quanto stesse per accadergli da lì a poco: scrutava a destra e sinistra cercando qualche occasionale pinguino volante che ogni tanto sbucava dalle famose buche che funestavano il fondo del ponte che sormontava il fiume Aleksej, ma non c’era ancora niente in vista, perlomeno in quel giorno. E dire che di solito quelle strambe e maledette creature svolazzavano come dannate tutt’intorno negli altri giorni!
Un pò deluso dalla caccia infruttuosa, si avviò verso casa già pensando alla possibile scusa da inventare alla mamma per giustificarle la mancata raccolta di selvaggina del giorno, quando a un tratto s’accorse di essere seguito da un piccolo gnomo che lo guardava incuriosito.
Kitaro, accortosene, si girò di scatto e gli urlò “ehi tu!”, ma lo gnomo non ebbe nemmeno il tempo di sentire quello che gli veniva gridato che già aveva spiccato un balzo in avanti, come se fosse stato un vero e proprio razzo.
Kitaro, allora, incuriosito da quello strano essere che lo aveva fin lì seguito, decise di incamminarsi nella direzione presa dallo gnomo, che intanto aveva lasciato dietro sè una lunga scia di fumo che indicava la direzione da lui presa. Dopo molto cammino e molte curve, Kitaro si trovò fuori città, al limite del bosco: lo gnomo infatti pareva proprio essersi avviato verso il vicino boschetto di Cernejavy che costeggiava la zona immediatamente antistante la città.
Addentratisi nel boschetto, Kitaro e lo gnomo continuarono a camminare, finchè non si trovarono di fronte un vero e proprio paesino in miniatura all’interno del bosco: c’erano casette sui piccoli alberi, casette all’interno dei tronchi, personcine indaffarate che correvano di qua e di là sbrigando i loro affarucci, piccoli cani che abbaiavano ai padroni e rincorrevano i gatti: tutta una piccola vita fremente che si agitava in quel boschetto.
Kitaro era stupito e allo stesso tempo affascinato da quel che vedeva, e non riusciva a raccapezzarsi su dove in realtà si trovasse e chi fossero quegli strani piccoli esseri che si trovava di fronte; ancora stupito da tutto ciò, dunque, si accorse all’improvviso che il “suo” gnomo gli stava passando di nuovo davanti, freneticamente sempre. “Eh no”, pensò Kitaro, “non me lo farò sfuggire di nuovo!” e si slanciò al suo inseguimento, deciso a non perderlo di vista. Dopo cinque minuti buoni di corsa attraverso il bosco, Kitaro vide lo gnomo entrare all’ interno di una cavità nel tronco di una grande e robusta quercia che troneggiava imperiosa: deciso a seguirlo anche in questo nuovo ed inaspettato tragitto, Kitaro si avventurò all’interno del buio tronco, sicuro che prima o poi avrebbe scoperto, grazie allo gnomo, un segreto meraviglioso.
Nel cunicolo all’interno c’era buio pesto e Kitaro doveva andare avanti alla cieca e un pò a tentoni, tastando le pareti di terreno che aveva intorno. Arrivato ad un punto in cui il terreno si faceva più pianeggiante, Kitaro intravide un lumicino davanti a sè, che pareva posto su di un oggetto ellittico, bombato: avvicinandosi di più, Kitaro vide che si trattava di un buffo elfo verde seduto all’indiana sopra una vecchia botte marrone.
Quando l’elfo vide Kitaro la sua prima espressione fu di stupore, ma durò solo un attimo: sapeva di aver trovato il “prescelto”, cioè sapeva che quello davanti a lui era colui che stava aspettando e subito rasserenò il volto in un serafico sorriso.
“Ciao, chi sei?” chiese Kitaro un pò intimidito, mentre pensava: “che strano posto davvero per fare una nuova conoscenza!”.
“Sono l’elfo Balaabam, e sono qui per condurti alle “cascate magiche”, dove ti aspettano tutti: ma tu, perchè ci hai messo così tanto ad arrivare??” disse l’elfo e senza attendere risposta prese per mano Kitaro e cominciò a guidarlo attraverso il cunicolo, facendo luce col suo lumicino (era infatti lui a tenerlo in mano seduto sopra la botte, prima).
Kitaro, sorpreso e un pò impaurito, si lasciava guidare, pensando che quella che stava vivendo fosse davvero un’avventura eccezionale, una di quelle che si raccontano poi agli amici in giardino, magari di notte per far loro paura ed impressionarli. In quel momento non gli sovveniva certo la probabile ansia che stava provocando alla tenera madre che lo stava aspettando a casa e che non lo vedeva ancora ritornare: i bambini sanno a volte essere molto egoisti!
Allo sbucare che fecero Kitaro e Balaabam dal tunnel, un’ estatica visione si offrì al ragazzo: cascate effervescenti, diffondenti intorno un’aura dorata, si vedevano splendere davanti a loro, offrendo un’immagine davvero perfetta delle possibili armonie che Madre Natura sapeva creare a volte nel mondo. Come so che le cascate erano effervescenti, mi chiederanno i miei piccoli lettori? Beh, si dà il caso che proprio davanti a Kitaro una delle cascate finisse il suo corso, formando un laghetto blu dove Kitaro, avvicinandosi, poteva vedere i pesciolini rossi nuotare tra le varie bolle che salivano dal basso e che esplodevano silenziosamente appena giunte a pelo d’acqua.
“Ehi tu” gli gridò Balabaam “ma devi sempre farmi perdere tempo? Andiamo che il Re delle Cascate ci aspetta!” e dicendo questo lo prese per mano e lo condusse con sè, attraverso i prati odorosi di margheritine. Kitaro era ancora stupito della meraviglia che aveva appena visto e non riusciva affatto a spiegarsi come fosse possibile una cosa del genere, cioè che una cascata fosse fatta d’acqua effervescente: tuttavia seguì forzatamente la sua guida di quel giorno.
Dopo un pò di cammino i due eroi arrivarono in un magnifico palazzo dorato che si ergeva maestoso in mezzo ad una radura, circondato da alberi di ogni tipo e misura: a Kitaro quel luogo diede subito la sensazione che fossero state portate lì appositamente da ogni zona della Terra tutte le specie di piante ed di alberi più rari e misteriosi per riunirli in unico, magnifico posto.
Il cancello davanti a loro, anch’esso d’oro, era abbastanza ondulato, ma sopra in alto non c’era nessun tipo di punta acuminata atta a scoraggiare eventuali intrusi o ladri di sorta: ciò stupì molto Kitaro, la cui vita in una grande città gli aveva insegnato a non fidarsi mai del tutto del prossimo, pur essendo ancora un bambino. Balabaam, intanto, almanaccava e pasticciava con il citofono della residenza: non riusciva infatti a ricordare la parola d’ordine per entrare e cercava di convincere la guardia all’altro capo del citofono a lasciarlo passare ugualmente; ma, evidentemente, invano.
Ad un tratto si ricordò che era lì con lui Kitaro, e questo poteva essergli di aiuto: infatti, alla nascita di Kitaro, le guardie del re avevano provveduto a registrare su nastro la sua voce da neonato (poichè lui era il Prescelto ed andava tenuto sempre sotto controllo) così da poterlo rintracciare in qualsiasi posto e in qualsiasi tempo grazie ai loro radar ipersonici ( che, tra le altre funzioni, avevano quella di sviluppare un’attendibile riproduzione della voce di Kitaro nelle varie età della sua vita).
Così Balabaam non dovette fare altro che prendere Kitaro per un braccio e dirgli: “Ragazzino, fammi un favore, dì qualcosa dentro questo citofono.”
“E perchè dovrei farlo?” ribattè Kitaro.
“Perchè se non lo fai ti rompo il grugno!” urlò Balabaam, che, detto tra noi, era un patito dei romanzi e telefilm polizieschi.
“Okay, okay, non ti scaldare tanto, lo faccio!” accondiscese Kitaro, che cominciava a temere per la propria incolumità.
“Salve...Come va?” azzardò allora il giovane dentro il citofono: in quel mentre, dall’altro capo, subito si attivarono i famosi radar supersonici che iniziarono a decodificare la voce di Kitaro. Milioni di bit al secondo passarono allora attraverso i circuiti e dopo un pò si accese sul pannello principale una lucina verde che fece: “Bing!” dando in questo modo l’ok al custode per dare via libera a Kitaro ed alla sua guida elfica.
“Ufff, ce l’abbiamo fatta, per fortuna, temevo non ci facessero entrare” esclamò Balabaam facendo il gesto di tergersi il sudore dalla fronte (anche se non ne aveva affatto) mentre guardava i cancelli della reggia aprirsi in due lentamente con un lieve “zzzz” per far passare i due ospiti.
Al portone principale c’era una grossa e robusta guardia vestita di blu notte, con tanti lustrini sulle spalline ramate che splendevano: la guardia era un grosso cagnone che aveva tutto grosso, tranne la testa, che era piccolissima, bianca con gli occhi neri.
Kitaro e Balabaam salutarono la guardia con un caloroso “salve!”, ma questi non rispose nulla, evidentemente istruito dai superiori del re a parlar poco e vigilare molto (tranne in quel caso, chè aveva l’ordine di lasciar passare i due individui).
Entrati finalmente nella reggia, Kitaro e Balabaam videro dapprima una lunga scala che correva tutt’intorno la parete appena di fronte a loro, e poi, iniziando a guardarsi intorno, notarono che gli altri spazi dell’entrata non erano granchè adorni, ma piuttosto coperti con pareti rosse e oro che lasciavano allo spettatore l’ impressione di un grande vuoto.
Kitaro e Balabaam si guardavano intorno incuriositi, alla ricerca di qualcuno o qualcosa che desse loro un’indicazione su dove dirigersi per arrivare alle stanze del re, ma evidentemente non c’era nessuno in quell’ampio salone d’ingresso. Stavano già per imboccare le lunghe scale parietali per provare a casaccio una direzione qualunque, quando dalla porta di destra un botolo arruffato tutto grigio si rotolò velocemente davanti ai loro piedi, lasciandoli stupefatti. I due, infatti, non si spiegavano cosa fosse quella buffa cosa rotolata così all’improvviso davanti a loro: aspettarono allora che fermasse il suo velocissimo vorticare su sè stessa e le si avvicinarono, guardandola incuriositi.
“Che specie di diavolo è mai questo?” sbottò Balabaam; e provò ad azzardare qualcosa: “secondo me è un gatto avvoltolato su sè stesso...”.
Kitaro però non lo stava a sentire, totalmente preso da quella strana creatura, che non riusciva assolutamente ad identificare; mentre stava ancora guardandola, essa d’improvviso cacciò la testa fuori da quella specie di struttura a riccio che aveva formato: era proprio un gatto, Balabaam aveva ragione, era un bel gattone dal pelo grigio, il muso e le orecchie bianche, gli occhi neri lucenti.
“Ehi voi, che state facendo lì impalati??? Aiutatemi, piuttosto, non vedete che sono impacciato, così come sono?” sbraitò allora il gattone rivolgendosi ai nostri eroi, i quali, un pò timorosi, gli si avvicinarono piano piano cercando di sbrogliare quella strana matassa (era proprio il caso di dirlo!).
Con dedizione ed attenzione, dopo un quarto d’ora Kitaro e Balabaam riuscirono finalmente nell’impresa: il gattone, riconoscente, si complimentò con loro, prorompendo in un liberatorio: “Aaaaah, ci voleva proprio, grazie!”. Si pose allora sulle quattro zampe ritto in piedi, e provò a sgranchirsele un po’, stiracchiandole ed allungandole qua e là per la stanza; poi continuò: “ragazzi, non sapete da quanto tempo era che stavo legato e raggomitolato in quel modo! Questi servi del re pretendono davvero troppo da noi poveri gatti-girandola! Siamo esseri limitati anche noi, dopotutto!” si sfogò il gattone.
“Gatti-girandola? Cosa vuoi dire?” chiese allora Kitaro, sempre più stupito.
“Quello che ho detto! Pensa che noi poveri gatti-girandola dobbiamo ogni giorno percorrere in questo modo tutto il palazzo del re, e solo per far divertire gli ospiti che di volta in volta vengono a trovarlo! Ma dico io, non avrebbe potuto allestire dei giochi d’acqua o uno splendido cortile di statue, come fanno tutti i sovrani normali?? No, lui aveva bisogno di noi gatti-girandola, senza capire che fare girandole è la nostra passione, sì, ma non quando diventa un lavoro massacrante!” rispose il gatto-girandola “A proposito io mi chiamo Fizz, voi?” aggiunse poi.
“Io sono Kitaro e lui e la mia guida Balabaam” rispose Kitaro e aggiunse: “Ma non capisco, Fizz, voi gatti-girandola fate questo spesso, anche se non siete obbligati?”.
“Si capisce! Fare girandole è la nostra passione, come ho detto, ma farle liberamente nella nostra foresta Gattonia all’ombra dei faggi e con la frescura dei nostri ruscelli è una cosa, e farle come lavoro contrattuale otto ore al giorno in un, tra l’altro, molto polveroso e vastissimo palazzone ne è completamente un’altra!
“Non farmene parlare, vah, chè è meglio per tutti, potrebbero esserci in giro le chiacchierone spie leprotte del re: e quelle hanno le orecchie lunghissime e sensibilissime!!!” disse Fizz.
“Va bene: ma il tuo ruolo qui è solo questo?” disse allora Balabaam.
“Certo, oltre a condurre gli ospiti che finiscono sotto di me nella corsa nelle stanze del re, eheh!” aggiunse Fizz, come se fosse un dettaglio di nessunissima importanza. E poi: “Venite, con me, dunque!” aggiunse chiamandoli col dito di una zampa.
Kitaro e Balabaam allora lo seguirono, decisi ormai a non stupirsi più di niente di quel che sarebbe loro capitato da lì in poi in quella strana avventura: tanto ormai avevano capito che in quel reame era abitato solo da creature oltremodo bizzarre!
Seguirono dunque il gatto Fizz su per lo scalone parietale (avevano visto giusto inizialmente) e cominciarono a salire. Quelle scale sembravano interminabili e la cosa assurda era che a volte sembravano camminare diritte, a volte a chiocciola, a volte addirittura in discesa! Ma il gatto Fizz sembrava una guida sicura, e camminava con gli occhi socchiusi, senza guardare a destra o a sinistra, col fare di chi quelle strade le aveva fatte ormai migliaia di volte e le conosceva a menadito.
Arrivati dunque alla stanza del re, un’altra sorpresa attendeva i nostri eroi: la stanza di sua maestà era una stanza poverissima e spoglia, e presentava solamente un divanetto viola tutto consunto sulla destra appena all’entrata, una rozza scrivania di mogano antico di fronte, ed un semplice tappeto a righe verticali che una volta erano colorate, ma che ora il tempo e l’usura avevano completamente scolorato.
Il re era completamente intento alla scrivania, scrivendo alcune urgentissime note da mandare ad alcuni organi amministrativi del reame di Cascate effervescenti: infatti erano note talmente importanti da dover essere scritte addirittura dal re in persona. Sua maestà era talmente indaffarata che non si accorse dell’entrata dei due ospiti (il gatto Fizz si era immediatamente dileguato appena introdotti Kitaro e Balabaam).
“Ehm, ehm” fece allora Balabaam con sussiego, tanto per introdurre la loro presenza al re, il quale infatti alzò finalmente gli occhi dal foglio su cui stava scrivendo (lo chiamavano a volte “il re cartolaio”, per la gran quantità di documenti che era costretto a redigere ogni giorno per far andare avanti il regno), e si accorse degli ospiti.
“Ah, ma bene, benvenuti!” proruppe sua maestà con un grande sorriso gioviale, che non avreste detto possibile sulla faccia di un capo di stato sempre iperimpegnato.
“Vi aspettavo con trepidazione” continuò poi “ in particolare te, Kitaro: qui tutti non fanno altro che chiedermi quando sarebbe arrivato il prescelto: finalmente eccolo qua, dunque!”, concluse, rivolgendosi al giovane.
Kitaro ovviamente non sapeva cosa rispondergli, essendo ancora all’oscuro di tutto quello che riguardasse la sua missione in quelle zone del Paese; disse solo: “Veramente, sire, io non ho ancora capito quello che dovrei fare in questo reame...”
“Benedetto ragazzo, ti spiegherò io allora” fece allora il re con gentilezza. “Devi sapere che da qualche tempo in questo reame si manifestano degli attacchi furibondi di alcuni enormi lupi che provengono dalle foreste vicine, i Kazaam: ebbene, questi figli di buona donna, dopo aver sbranato e dilaniato ogni cosa che càpiti sotto di loro, salgono sulle scale della mia residenza, e per aggiungere la beffa al danno, mi fanno dei potentissimi pernacchi che mi fanno rimpiangere d’essere nato! Per questo, ragazzo, devi assolutamente aiutarci per uscire da questa angosciante situazione: non possiamo continuare a subire queste devastazioni; e soprattutto io non posso più sopportare assolutamente quegli sberleffi così oltraggiosi!” concluse il re precipitosamente e col viso stravolto (evidentemente aveva ancora in mente l’ultima serie di pernacchi subìta).
“Ma...cosa dovrei fare esattamente?” interloquì Kitaro.
“E’ presto detto” rispose il re “dovrai andare sotto le cascate effervescenti, cioè, non proprio sotto, diciamo, dietro, e dietro l’acqua di una delle cascate troverai un cunicolo scavato nella roccia che ti porterà, dopo un certo tragitto, al luogo dove è custodita la cassa magica: dentro questa cassa troverai un altrettanto magico piffero che ci consentirà, mediante il suo orrendo suono, di allontanare i lupi Kazaam ogni qualvolta essi tentino di avvicinarsi al nostro reame” concluse il re.
“Va bene, ma perchè proprio io devo farlo, sire?” chiese Kitaro.
“Perchè, perchè, giovanotto adesso mi hai scocciato con tutti questi perchè! Vuoi accettare o no? Ti interessa alleviare dalle pene un povero paese che è funestato da una sciagura della portata che ti ho detto, oppure vuoi fare l’egoistaccio e farti i fatti tuoi?” rispose il re un pò misteriosamente (almeno per Kitaro).
“Va bene, va bene, accetto l’incarico, lo farò, se contate proprio su di me” acconsentì alla fine il ragazzo.
“Benissimo, hai fatto la scelta giusta, te l’assicuro, giovanotto!” si complimentò allora il re stringedogli la mano.
“Beh, ragazzo, allora il mio compito qui è finito” disse allora l’elfo Balabaam a Kitaro “ti auguro un grande successo e ti faccio un in bocca al lu...Ops! Come non detto, scusa, ahahha! Beh, ciao ragazzo” e lo salutò con un robusto abbraccio all’americana, proprio come nei film polizieschi di cui era patito.
Scendendo le scale, il gatto Fizz lo incontrò di nuovo per caso, e racconterà poi ai suoi amici di avergli visto una lacrimuccia all’ angolo dell’occhio destro, ma non ne era tanto sicuro.
Comunque, fatto stava ormai che Kitaro doveva cavarsela da solo e quindi prese su di sè l’incarico e fece per congedarsi. Ma il re lo bloccò: “Dove vai, stupidotto? Ti accingi all’impresa a mani vuote? Dovrai pur avere un’arma per affrontare i pericoli che troverai nel tragitto verso la cassa, no? Tieni” e prese da sotto il divano una vecchia spada arrugginita che teneva lì per le emergenze “prendi questa e fanne buon uso, e bada che è un caro ricordo della mia famiglia, essendomi stata tramandata da generazioni e generazioni, da un tempo che ormai si perde nelle nebbie del passato” concluse con solennità, consegnando a Kitaro la spada.
L’arma era abbastanza pesante e il giovane, senza aspettarselo, la prese con leggerezza, col risultato di esserne trascinato verso il basso dal suo peso eccessivo.
“Mi ci vorrà un po’ per abituarmici, voglio dire a maneggiarla, visto il suo peso...” disse Kitaro, più a sè stesso che al re, in verità.
“Ma dài, scommetto che non avrai nessun problema, un baldo giovane come te poi!” e dicendogli questo gli diede una gran pacca sulla spalla; era tornato il re gioviale che li aveva accolti all’inizio del loro incontro.